La sofferenza di chi deve giudicare

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di Valter Vecellio

   “Chiedo che il neonato venga dichiarato in stato di abbandono per totale e irreversibile incapacità e inadeguatezza del padre e della madre a svolgere funzioni genitoriali”. Pesantissime le parole scolpite nella richiesta per l’adottabilità del piccolo Achille, il figlio di quella che ormai è per tutti la “coppia dell’acido”. Alla madre del neonato ora è stato consentito di vedere il figlio per qualche istante; non può però allattarlo, non può fare nulla di quello che in situazioni normali una madre fa con suo figlio. “Atto violento e brutale a scapito del piccolo”, protesta l’avvocato di Martina Levato, la madre. “Una vergogna di Stato, un rapimento: a lui innocente viene negato il calore materno”, si legge in un comunicato dell’Unione delle Camere Penali; e naturalmente i nonni, che non hanno mai potuto vedere il nipotino parlano di “barbarie”, annunciano lotta senza quartiere pur di ottenere il piccolo in affidamento. Il pubblico ministero minorile Annamaria Fiorillo, che ha vergato quella pesantissima richiesta di adottabilità, sostiene che Martina “è pericolosa”. per Achille. Perché questo pesantissimo giudizio: “pericolosa”? Invita a leggere le carte, le perizie; è giusto: su questo penosissimo caso tanti che parlano, non sanno; e i pochi che sanno, è bene che tacciano. La dottoressa Fiorillo dice che “in un caso come questo, qualunque scelta fa male”. Le si può credere. E’ una delle poche certezze, in questa vicenda dove prendere una decisione netta non è facile. E’ da credere, da sperare che la sua sia stata una decisione sofferta, che le abbia procurato sofferenza. Sì, sommessamente, è questo che ci si augura che sia accaduto: che nel decidere, la dottoressa Fiorillo sia stata male, e ancora stia male; non per una sorta di legge del contrappasso, piuttosto perché si è convinti che chi decide per mestiere di giudicare il prossimo dovrebbe avere esperienza di quello che Alessandro Manzoni definisce “il cuore umano”. Un qualcosa che dovrebbe essere nel DNA di un magistrato; al contrario,  spesso accade ne che ne abbiano pochissima esperienza. Di più: la scelta del giudicare dovrebbe essere vissuta come dolorosissima necessità, e accompagnata da costante inquietudine, da lancinanti dubbi: che tremendo è il potere di “fare giustizia” secondo legge, secondo il suo spirito e la sua lettera; Per questo, chi giudica dovrebbe, “soffrire” questo suo potere. Ed è quello che si augura alla dottoressa Fiorillo. Perché il dilemma, la questione che si è trovata ad affrontare, all’essenza è: qual è il “bene” del piccolo Achille?

   Possiamo credere (anzi, ci crediamo), alla disperazione della madre, del suo compagno; dei nonni. Ma passano in secondo piano, rispetto al figlio. E’ lui, ora che conta; il suo futuro, la serenità cui ha diritto. Lui è l’incolpevole, la vera vittima di tutta questa tremenda storia. Una storia che vede per protagonisti due amanti scellerati che hanno per progetto quello di sfregiare – come hanno fatto – con acido un ragazzo colpevole solo di essere stato un precedente fidanzato di Martina (e anche la vita di questo ragazzo, non dimentichiamolo, è stata rovinata). Al termine di questa incredibile, sconcertante catena di eventi, ecco lui: il piccolo Achille. Attorno a lui, interrogativi che presto si trasformano in polemiche, in parlottio cinico da spiaggia, il cicaleccio da talk show alla caccia di facile ascolto.

    Si dice che Martina e Alexander, come tutti, hanno diritto di potersi riscattare dal crimine che hanno commesso. Certo; ed è vero che una volta pagato il debito con la giustizia i due ragazzi possono rivelarsi buoni genitori. E’ una possibilità. Può accadere. E’ accaduto in molte occasioni. Ma è questo il punto: non lo sappiamo, non lo possiamo sapere; può accadere, ma può anche non accadere. E se non accade? La cronaca quotidiana ci documenta come il cosiddetto “richiamo del sangue” sia qualcosa che lascia il tempo che trova. C’è purtroppo una ricchissima letteratura di madri assassine, di genitori che violentano i figli, li sfruttano, li sfregiano, li massacrano. Se la “famiglia naturale” è quella che viene quotidianamente descritta da TV e giornali, vien la voglia di abolirla subito. Meglio dunque non divagare troppo.

    Comprensibile il disperato grido di dolore di Martina. Ma la legge, lo Stato devono in questo momento preoccuparsi soprattutto di quale sia il “meglio” per Achille, e per stabilirlo occorre evidentemente tener presente tutto il contesto in cui questa vicenda si è sviluppata.

    Come uscirne? Purtroppo non si può isolare l’ultima immagine, la mamma cui viene negato di poter allattare il suo piccolo, come se fosse avulsa da tutto il resto; c’è dietro, e a lato, un inquietante concatenarsi di altri eventi, alcuni dei quali orribili, atroci. Non è crudele che il piccolo sia strappato dalle braccia della mamma; è crudele, assurda, tutta la vicenda. Crudeli, scellerati, innanzitutto sono stati Martina e Alexander. Rispettabile la combattività dei  nonni “biologici”; ma c’è da stabilire, al di là di ogni ragionevole dubbio che Martina e Alexander non sono in grado di essere madre e padre adeguati; c’è da assicurare il bene, ora e futuro, di Achille. Non è tanto questione di leggi, quanto di saper leggere, alla Manzoni, “il cuore umano”. Per questo, si augura alla dottoressa Fiorillo e a quanti dovranno decidere il destino del piccolo Achille, di letteralmente soffrire; di soffrire ogni volta che dovranno chiedere e assumere un provvedimento come questo. E’ solo questa loro sofferenza la garanzia per Achille, e tutti noi.

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